I taralli altro non sono che piccole ciambelline croccantissime e sfiziose preparate ancora oggi, nella maggior parte dei casi, a mano. Parola d’ordine ritorno all’artigianalità per un prodotto capace di conquistare qualunque palato di qualunque età. Ma qual è la vera storia dei taralli? Sono originari della Puglia, o piuttosto di Napoli? Scopriamola assieme.
I taralli frutto dell’arguzia popolare
Capita spesso di leggere di storie di ricette nate per caso, per ottimizzare degli avanzi, per rimediare ad un errore commesso in cucina. Anche i taralli rientrano in questo tipo di casistica e, se vogliamo, di leggenda popolare. Narra infatti la leggenda che questi deliziosi snack siano il frutto del tentativo (ben riuscito) di un panettiere di ottimizzare dei ritagli di pasta lievitata avanzata, condita con un pò di strutto ed avvolta piano piano su se stessa. Nascevano dunque i taralli. Un’altra versione della leggenda sulla nascita dei taralli pugliesi (o napoletani, come vedremo tra poco), narra la storia di una mamma, alle prese con l’esigenza di far quadrare le economie di casa in un periodo difficile.
Ma quale sarebbe la regione che ha dato i natali ai taralli?
Puglia e Campania si contendono il primato e sembra, in effetti, che la Puglia lo detenga. I primi taralli pugliesi sarebbero stati inventati intorno al 1400 non si sa di preciso dove e da chi, visto che le leggende non mancano. Una ricetta molto semplice, mentre invece quella napoletana sarebbe più ricca di ingredienti e leggermente più complessa. Stando a quanto riferisce Matilde Serao, i taralli napoletani sarebbero nati più tardi, nel Settecento, proprio sull’onda dell’esigenza di usare gli avanzi di pasta lievitata rimasti nei panifici. Ma se avete ben in mente i classici taralli napoletani, quelli con le mandorle, dovete sapere che quelli risalgono ad un periodo ancora posteriore, ovvero all’Ottocento.
Come si gustavano i taralli?
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Sia in Puglia che in Campania i Taralli si gustavano con del vino ed era spesso cura dell’oste offrirli ai loro clienti come aperitivo o “apristomaco”. Non a caso esiste ancora oggi il detto “finire a tarallucci e vino”, che sta ad indicare l’abitudine di esagerare proprio con il vino e poi terminare per tuffarvi dentro qualche tarallino per placare la sbornia e, perchè no, anche qualche bisticcio nato sull’onda dell’euforia alcolica.
Qual è la ricetta dei taralli tradizionale? Confronti tra Puglia e Campania
Vino, olio, strutto, quali sono gli ingredienti della ricetta originale dei taralli?
Gli ingredienti di base per preparare i taralli pugliesi e i taralli napoletani sono essenzialmente 4 e sono: acqua, olio, farina e sale. L’abitudine di aggiungere il vino risale al passato e deriva dal fatto che anticamente si usavano oli di qualità davvero mediocre, con un odore sgradevole (persino la sansa!): il vino serviva dunque a coprire l’odore dell’olio. Ma se scegliete di usare un buon olio pugliese magari da monocultivar e naturalmente extravergine, potreste anche evitare l’uso del vino.
Quanto alle ricette dei taralli pugliesi più tradizionali, sicuramente citiamo quelle che prevedono l’aggiunta di prodotti tipici pugliesi come per esempio il cece nero della Murgia, la cipolla di Acquaviva delle Fonti e molti altri.
Se invece avete sentito parlare dello strutto come ingrediente tipico dei taralli, dovete sapere che questo è tipico della variante napoletana. Se il tarallo pugliese vuole l’olio di oliva, quello napoletano predilige invece lo strutto. E non poco! Il tipico tarallo napoletano prevede che si usi almeno un 40%-50% di strutto.
Bollitura sì o no?
Anche per quanto riguarda la bollitura i taralli pugliesi si differenziano da quelli napoletani. Mentre i taralli pugliesi prevedono che vi sia una bollitura il giorno prima della cottura il forno (per dare il tempo al prodotto di asciugarsi prima di essere cotto in forno), quelli napoletani vanno direttamente in forno, e quindi la versione partenopea non prevede alcuna bollitura.