Il rito delle tavole di San Giuseppe è un’usanza molto antica e per certi versi indubbiamente “coreografica”. Esso ha luogo presso diversi borghi salentini appartenenti all’antica Terra d’Otranto durante i festeggiamenti in onore di San Giuseppe. Il luogo ve l’abbiamo svelato. Il mese, naturalmente, è quello di marzo, che tradizionalmente è dedicato proprio allo sposo della Beata Vergine Maria. Scopriamo dunque assieme cosa accade nel mese di marzo in queste piccole località del Salento, e che cos’è il rito delle tavole di San Giuseppe.
Radici storiche della tradizione delle Tavole di San Giuseppe
Siamo dunque negli immediati paraggi di Otranto, nelle località di Casamassella, Giurdignano, San Cassiano, Diso, Minervino, Uggiano La Chiesa e molte altre, ma anche, qua e là, nel nord della Puglia, in Sicilia ed in Abruzzo. Come spesso accade durante l’anno, sacro e profano si intrecciano e si fondono quasi indissolubilmente, dando vita a festeggiamenti unici del loro genere. Festeggiamenti che vedono protagonista la fede religiosa, ma dai quali emerge un forte senso di appartenenza alla terra, di rispetto nei confronti dell’avvicendarsi delle stagioni e di madre natura stessa. Un po’ come avviene in occasione della festa degli Ognissanti, insomma. Non a caso, marzo è il mese dedicato a San Giuseppe ma è anche il mese dell’equinozio di primavera e del risveglio della terra. Peraltro, il rito delle tavole di San Giuseppe che ora andiamo ad illustrarvi ha radici molto antiche, così antiche da avere un sapore bizantino: era usanza dei monaci basiliani offrire cibo ai meno abbienti, anche se alcuni studiosi intravedono nelle origini di questo rito lo spirito caratterizzante delle Confraternite di San Giuseppe. Nel rito delle tavole di San Giuseppe, ad ogni modo, c’è tutto il Salento, con la sua storia, il suo essere centro nevralgico di una civiltà storicamente multietnica e la sua natura così fortemente legata alla vita contadina.
Cosa sono le tavole di San Giuseppe
Quella delle tavole di San Giuseppe è una tradizione che affonda le sue radici in un passato lontano in cui, accanto all’esigenza di rendere omaggio allo sposo della Beata Vergine Maria, vi era anche quella di compiere un gesto di genuina carità nei confronti di chi non aveva di che sfamare la famiglia o viveva in condizioni di ristrettezze economiche. O ancora, le tavole rappresentavano una concreta opportunità di riappacificazione nei confronti di parenti o amici con i quali si aveva avuto qualche screzio. E dunque, il rito voleva che fosse preparato un ricco banchetto, la cui realizzazione prevedeva una serie di “tappe” ben precise:
- il giorno 12 marzo si impastava la farina per realizzare i “vermiceddhi” (gli stessi che si gustano in occasione dell’Immacolata con il baccalà);
- il giorno 14 marzo si mettevano a bagno il baccalà così come i lampascioni;
- il 15 marzo si mettevano a bagno i ceci;
- il 17 si pulivano cavoli, cavolfiori e rape, dopodichè si cucinavano i ceci, si friggevano e si ripassavano nel miele;
- il 18 si cucinavano le verdure, il baccalà, la pasta con il miele e si facevano le pittule;
Simbologia dietro le Tavole di San Giuseppe
Come potete immaginare, ogni singolo passaggio era scandito da momenti di intensa religiosità e di preghiera, a sottolineare l’intento prettamente devozionale dell’intera preparazione: a tal punto che i tempi di cottura delle varie pietanze erano misurati in preghiere, per esempio: “lasciar cuocere per il tempo di dieci Ave Maria oppure di due Pater Noster”, e così via. Ciascuna famiglia dunque si occupava di preparare una tavola imbandita e poteva invitare da 3 a 13 persone (un numero che doveva e deve ancora oggi essere sempre dispari, e che nel caso del numero 13 ci ricorda senza ombra di dubbio i commensali dell’Ultima Cena) ad impersonare simbolicamente i santi ed a prendere parte a questo ricco momento conviviale. La famiglia ospitante, tuttavia, non poteva far altro che gustare le rimanenze.
Come avviene il rito
Nei paesi sopracitati, le tavole di San Giuseppe sono riproposte sotto forma di rito pubblico. Al pubblico ed ai visitatori, che giungono da ogni dove, si offrono porceddhuzzi, lampascioni, pucce e panetti votivi già dal pomeriggio del 18 marzo. La sera è trascorsa in preghiera, mentre il rito delle tavole si svolge a mezzogiorno del 19, quando ha luogo il rito vero e proprio delle tavole di San Giuseppe: ai commensali sono offerti vari piatti, tra cui vermicelli con baccalà, pesce in umido, cime di rapa, pesce fritto e, naturalmente, le famosissime zeppole di San Giuseppe, deliziose frittelline farcite con crema pasticciera ed amarena, sino ad arrivare a 13 pietanze offerte a ciascun commensale. A gestire l’andamento del banchetto è colui che impersona San Giuseppe, che stabilisce di volta in volta quando è il momento di passare alla pietanza successiva, battendo per tre volte consecutive la sua forchetta sul piatto.
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