Come spesso accade le più famose – e anche le più semplici – specialità gastronomiche sono frutto di un’invenzione casuale oppure di un tentativo di assemblaggio di ingredienti apparentemente poco accostabili tra di loro. Vi abbiamo raccontato recentemente la storia dell’origine della burrata pugliese, nata dall’esigenza di un casaro di conservare del latte avanzato, ma potremmo anche fare un viaggio sino in Francia, dove è rimasta nella storia della gastronomia l’origine della ganache al cioccolato, per poi tornare nel nostro bel paese, e scoprire che il cuoco degli Sforza, dopo aver bruciato irrimediabilmente un dolce la vigilia di Natale, “inventò” casualmente il panettone con pochi avanzi. Oggi dunque torniamo in terra di Puglia e scopriamo assieme che anche il tarallo pugliese, uno dei simboli incontrastati di questa regione in tutto il mondo, è frutto di un tentativo culinario improvvisato.
La leggenda dell’origine del tarallo pugliese
Siamo nel Quattrocento, periodo storico in cui la fame era all’ordine del giorno. Narra dunque la leggenda che una madre, di fronte all’esigenza impellente di sfamare i figli, decise di impastare quel poco di cui disponeva: farina, vino bianco, olio pugliese e sale. E per dare una forma più sfiziosa alla sua ricetta, decise di dar vita a tanti piccoli anellini, che una volta in forno divennero fragranti e croccanti. Nasceva così il tarallo pugliese. Da allora la ricetta dei taralli pugliesi si è arricchita ed evoluta assumendo forme più o meno grandi e declinazioni differenti tra dolce e salato, ma ci piace pensare, ogni volta che addentiamo un fragrante tarallino pugliese, a quella mamma, che in un momento di difficoltà è riuscita a mantenere la calma ed a realizzare qualcosa di davvero superlativo e, perchè no, geniale.
Evoluzione e declinazione dei taralli pugliesi
Come detto, le varianti non mancano, sia sul fronte del salato, sia sul fronte del dolce. Il tarallo è uno snack veloce ed economico che, a differenza di tanti altri prodotti commerciali, offre al contempo autenticità e salute. Niente trucco e niente inganno insomma, e da quel lontano giorno di tanti secoli fa la ricetta dei taralli pugliesi è rimasta tutto sommato la stessa. Oggi troviamo sul mercato diverse varianti sfiziose, come quelli con i semi di finocchio, quelli con le olive, quelli con la cipolla, e poi ancora, tra i taralli dolci, quelli con le mandorle oppure mandorle e cioccolato, oppure i taralli glassati.
Origine del nome “tarallo” “taralli”
Sull’etimologia della parola tarallo i linguisti dibattono e discutono e, ad oggi, non v’è ancora una risposta univoca. La più accreditata sostiene che il nome tarallo potrebbe derivare dal greco “daratos” che vuol dire “una specie di pane”. Altri studiosi ipotizzano che provenga dal latino torrere, che significa abbrustolire. Altri ancora vedono nell’etimologia della parola tarallo l’italico tar assieme al franco danal, dove danal sta per pane arrotolato. Insomma, le ipotesi non mancano, quel che è certo è che i taralli pugliesi sono ancora oggi, a distanza di secoli, sulle nostre tavole e negli nostri zaini, pronti ad essere gustati a qualunque ora del giorno per uno snack leggero o per un aperitivo sfizioso.
Perché si dice “tarallucci e vino”?
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Nel gergo popolare non è infrequente sentir dire che un avvenimento si è concluso “a tarallucci e vino”. Questo modo di dire viene da lontano e sottolinea l’abitudine, sin dall’invenzione dei taralli, di abbinare questo sfizioso snack pugliese ad un ottimo vino locale, come un primitivo di Manduria, per esempio, ma non solo. A quanto pare si usava intingere i taralli nel vino, proprio come si fa con i cantucci ed il vin santo. Secondo una leggenda popolare, c’era anche chi, nei secoli passati, intingeva i taralli in acqua di mare, ma su questo non sappiamo dirvi di più. Certo è che l’abbinamento tra taralli pugliesi e vino pugliese è particolarmente indovinato e ben si presta a dar vita ad un aperitivo gustoso e sfizioso.